Finzioni (auto)biografiche e il fantasma di Marguerite Duras
Riflessioni su "Marguerite mon amour" di Federica Lauto (le plurali, 2024).
Trent’anni sono un’età difficile da vivere, soprattutto al giorno d’oggi: si è adulti, senza via di scampo, eppure spesso costretti a condurre vite post adolescenziali. Il futuro è un baratro e ci sei già dentro.
Erica ha compiuto trent’anni e trascorre gran parte delle sue giornate nel supermercato dove lavora per uno stipendio troppo basso, è tornata a vivere con i suoi dopo gloriosi anni da universitaria fuori sede. Ha imparato presto a rinunciare ai suoi sogni, derisi, si è piegata a un’esistenza fatta di doveri e poco altro. Tuttavia non ha serrato la porta alla speranza, l’ha lasciata socchiusa. Quando G.B., un altro giovane adulto più fortunato di lei, scopre il suo blog e le propone un contratto per un libro, Erica si accende: torna a rischiare, torna ad abbracciare la vita. La gioia diviene incontenibile quando realizza di poter scrivere un libro sulla sua autrice del cuore e scopre di poter seguire, con la mente e con il corpo, le sue orme.
Sulle sponde del Mekong
Il viaggio di Erica prende avvio tra il Vietnam e la Cambogia, nell’allora Indocina dove nel 1914 nacque Marguerite Donnadieu, futura Duras. La giovane però vuol cominciare da ciò che ha preceduto la nascita, dunque dall'incontro tra i suoi genitori, il cagionevole Henri e la volubile Marie, entrambi insegnanti e coloni francesi. Così viaggia da Hainoi a Phnom Penh, da Vinh Long a Sadec, sino a Gia Dinh1 e Saigon, leggendo biografie e brani autobiografici, perdendosi tra i profumi e le strade.
Il mattino dopo parto su un treno scalcagnato che sobbalza a ogni sasso. Il viaggio è estenuante, lento. Fa caldo. Con me ci sono pochi viaggiatori dai visi stanchi e la pelle cotta dal sole. Percorriamo un paesaggio povero e brullo. Il cielo è di un azzurro brillante ma dal finestrino sporco si vede a malapena fuori. Il rumore è insopportabile. Mi pento di non aver preso un aereo ma ormai sono qua. Di fianco a noi scorre il Mekong. Lo guardo. È lontano. Un serpente luccicante di un color pallido. Tra le sue acque si è bagnata Marguerite bambina. Io sto andando là.
Marguerite è una bambina sveglia e intelligente, solare e selvaggia: gioca sugli alberi, corre libera per i vicoli e le campagne afose del Paese. Vive un lutto importante ancora bambina, osserva e subisce violenza da parte di un fratello padrone, cerca riposo e comprensione tra le braccia materne, spesso assenti e impegnate a salvare la famiglia dalla miseria. È sola, Marguerite, ma è audace e non si abbatte: accoglie la vita a braccia aperte, conservando il dolore per il futuro da scrittrice che desidera.
[…] lei aveva insegnato ai figli anche questo lato del mondo. Quel rumore che fa il cuore quando nessuno lo scalda.
Mon amour
Non ha un nome, l’amante. È il primo uomo che Marguerite ama, il primo per cui sarà costretta a soffrire, il primo che dovrà abbandonare.
Erica segue le loro tracce sul traghetto che da Vinh Long porta a Sadec, attraversando il Mekong, inseguendo gli strascichi di quel dramma amoroso che si è dovuto consumare, quella fiamma ardente che è stata spenta con fermezza.
Quella notte, ascoltando il pianoforte nella sala della prima classe, lei si era messa a piangere. Aveva pianto tutte le lacrime che non aveva pianto durante la loro storia. E aveva capito che l’indifferenza che ostentava era solo una posa per proteggersi. Aveva capito di non avere più certezze. E ne era rimasta sconvolta. Perché lei, quel cinese, lo aveva amato. Forse l’unica certezza che abbiamo è quella dell’amore.
Dall’ex Indocina Erica vola in Francia, a Parigi: è qui che continua la storia di Duras dopo l’addio all’amante cinese. Presto un nuovo amore la travolge, quello per Robert Antelme, ma non sarà esente da tragedie: prima la perdita del loro bambino a soli due anni, poi l’oblio di Robert in un campo di concentramento al quale, sì, sopravviverà, ma come e a che prezzo?
Non sarà fortuito poi l’incontro con Dionys Mascolo, dal quale però avrà l’amatissimo figlio Jean, e nemmeno il suo ultimo amore, Yann Andréa Steiner, le riserverà gioie, nonostante il forte legame tra i due.
Marguerite Duras condenserà i tormenti, le paure, i drammi e le passioni dei suoi amori - perlomeno sino a Dionys - nel soggetto e nella sceneggiatura del film Hiroshima mon amour girato da Alain Resnais, proiettato per la prima volta a Cannes nel 1959 dove venne accolto con sgomento e stupore.
Fantasmi
Come il dolore perseguita Duras, l’ansia del fallimento perseguita Erica. Può dirsi davvero all’altezza del progetto? Forse quello della scrittura è un sogno che è meglio lasciar impolverare in un cassetto chiuso?
Per fortuna c’è G. B. ad aiutarla a ritrovare fiducia nelle sue capacità, e i luoghi della sua scrittrice preferita l’aiutano a ritrovarsi. Inoltre c’è lei, la stessa Marguerite Duras ad insegnarle quanta fatica costi la scrittura, ma quanto sia necessaria.
Quando rileggo le mie pagine non sono mai soddisfatta.
«Il testo è uno spazio che bisogna trovare in sé», mi dice Duras.
Ma a me, il mio, sembra proprio sconclusionato.
«Come si scrive?», le chiedo, affranta. «Come posso mettere insieme le parole in modo che abbiano un senso, un senso profondo?».
Marguerite Duras si accende una sigaretta.
«Bisogna riuscire a dominare quello che ci accade. C’è una forza sconosciuta contro cui bisogna lottare. Lavorare è fare questo vuoto e lasciargli spazio. Fare spazio all’imprevedibile. Si deve lasciar perdere e poi riprendere, tornare indietro e togliere di mezzo se stesse. E poi, a volte sì, scrivere».
Continua, più avanti, spiegandole la sua idea di scrittura:
«Quello che ho scoperto scrivendo L’amante», aggiunge l’indomani davanti al tavolo della colazione, «è la scrittura corrente. La scrittura corrente è un modo di far correre la scrittura sulla pagina, passando da una cosa all’altra, senza spiegare. Così, dalla descrizione di mio fratello passavo a quella della foresta tropicale, dalla profondità del desiderio a quella del cielo. Prima non mi abbandonavo tanto allo scrivere… Volevo spiegare troppo e non mi concedevo spazi bianchi. Ecco, solo questo ti posso dire… che bisogna abbandonarsi allo scrivere, farsi prendere dalla vertigine di raccontare».
Ed è proprio alla vertigine del racconto che si abbandona Federica Lauto, l’autrice di questo romanzo-omaggio a Marguerite Duras pubblicato in concomitanza con i 110 anni dalla nascita dell’autrice.
È qui che nasce Marguerite Duras, il 4 aprile 1914.
Duras è una scrittrice che conosco solo di fama: devo rimediare... grazie per questo (doppio) approfondimento!